Prestare sempre attenzione, si transita su sentieri percorsi anche da pedoni, quindi è importante essere cauti.
TEMPO PREVISTO: 3h-5h
Si scioglie la neve e come ogni anno sale forte il richiamo della montagna, quella vera, dove il verde dei prati lascia il posto alle morene e al bianco dei ghiacciai. Prima avventura di questo genere è un’escursione insolita, che procede da Macugnaga, villaggio Walser ai piedi della parete est del Monte Rosa, salendo fino ai 2070 mt del rifugio Zamboni Zappa, ultimo fortino di civiltà circondato da pareti a strapiombo fra le più suggestive e difficili del panorama alpino.
Un itinerario solo in parte pedalabile in salita, dove è necessaria una buona preparazione di base e capacità tecniche, un escursione per molti ma non per tutti.
Come dicevamo si parte da Macugnaga, centro incontaminato dove l’edilizia è ancora quella tradizionale dell’alta montagna, baite in legno, piccoli chalet e la tranquillità tipica che si ricerca in questi luoghi.
In località Pecetto incomincia la nostra ascesa, per i più allenati la pedalata parte da qui, chi invece non se la sente di sfidare i muri del Belvedere, potrà utilizzare la seggiovia fino all’omonima stazione di arrivo.
Ho optato per la prima alternativa, la salita è regolare, la pendenza non eccessiva permette una pedalata rotonda e fluida che aiuta a prendere confidenza e a scaldare il motore, il paesaggio è quello fiabesco dell’alta montagna, pinete che risalgono a conquistare il cielo e grandi scogli rocciosi solcati da cascate create dallo sciogliersi della neve. In questo ambiente si sale su una strada bianca fino all’intermedio della seggiovia, in località Burki, qui la prova della verità del vero biker, proseguire pedalando per sfidare pendenze impossibili o sedersi comodamente e farsi trasportare dondolanti fino alla vetta dalla seggiovia? Io mi sono sacrificato per voi lettori e ho deciso di proseguire pedalando e spingendo! La salita ora diventa veramente ripida, negli anni scorsi era stata creata una strada di servizio che la neve e le piogge hanno cancellato. In questo modo metà dell’ascesa è a spinta, su un percorso che d’inverno, diventa una nera di tutto rispetto. Il tratto a spinta è di circa 20’-30’ a seconda del motore a disposizione. Si arriva così in località Belvedere, qui la vista è splendida, a valle si vede il comune di Macugnaga, racchiuso delle alte pereti, a monte le vette del Rosa sono li, sembrano vicine ma ci dividono da loro 2600mt di salto, tanto misura la parete est. La più alta dell’arco alpino, l’unica che come scenario può competere con le famose montagne Himalayane. Questo è anche il motivo per cui ho voluto affrontare questa piccola avventura con la fidata MTB, pedalare fra i ghiacci in un ambiente unico nel suo genere regala emozioni forti e ripaga di ogni sforzo. La vera avventura parte da qui, ora non ci sono più seggiovie ad aiutare i più sfaticati, ora la bici va portata a destinazione. Va detto che non si tratta di un’ascesa impossibile, la maggior parte del dislivello è alle nostra spalle, adesso bisogna superare la morena del ghiacciaio Belvedere, risalire un sentiero in cresta che farà la gioia di ogni biker e arrivare così a destinazione. La morena è una sfida al nostro equilibrio, un bravo trialista troverà spunti capaci di metter alla prova le sue doti, per gli altri ci saranno tanti tratti da spingere, si parla di qualche centinaio di metri, non di più, ma sentire che sotto le ruote il terreno è vivo e si muove è suggestivo, vedere tutto attorno spuntare tratti di ghiacciaio e piccoli crepacci obbliga a prestare un po’ più di attenzione, anche se la via sicura è ben segnata. La cresta successiva è quasi totalmente pianeggiante, qui si può pedalare tendendo però sempre in mente che ci troviamo su un sentiero stretto, tortuoso e che alla nostra destra, qualche decina di metri più in basso c’è un ghiacciaio! Ora l’obbiettivo di giornata è ben visibile, il rifugio è là che ci aspetta, con il caldo delle sue pareti in legno e del camino che scoppiettando ci farà compagnia. Sono edifici che emozionano sempre, questo è l’ultimo avamposto di civiltà prima dell’ignoto, quando ti lasci alle spalle il suo caldo abbraccio è la natura ad attenderti, con la severità di un giudice imparziale. Qui ancora di più perché davanti a noi troviamo pareti di roccia e ghiaccio inaccessibili per i più, dove molti alpinisti in sfida con se stessi hanno trovato la pace eterna che la montagna a volte dona. Questa volta mi fermo qui, lasciando viaggiare lo spirito indomito verso quelle vette tanto sognate e temute.
Ma torniamo alla realtà, ad attenderci ci sono i custodi del rifugio, che hanno saputo reinventarlo in chiave family frendly, invocando a se la strega effimera, dal nome del laghetto presente qualche centinaio di metri più a monte, che tutte le sere viene ad augurare la buona notte ai piccoli ospiti del rifugio. Sono giunto a mezzo giorno, quindi non ho avuto la fortuna di incontrarla, ma tornerò sicuramente a fare quattro chiacchiere con questa curiosa entità. Il tempo di bere qualche cosa di caldo, pascolare giocando con la bici nei prati e ho dovuto puntare dritto verso valle, qui il tempo è volubile e inquieto e nello spazio di un saluto si passa dal sole accecante alla tormenta. Proprio conoscendo il tormento interiore del meteo di questi luoghi, alle prime avvisaglie decido di partire di gran carriera, la discesa è il vero obbiettivo di giornata, quella cresta che si staglia la verso valle, creata con paziente forza dal ghiacciaio sempre in movimento è una danza che non voglio perdermi, un flou naturale, leggero e che diventa sempre più un ritmo travolgente a mano a mano che la pendenza aumenta, con uno stop netto quando si ritorna sulla morena, unico tratto della discesa non pedalabile. Da lì fino a Macugnaga si scende, prima con cauta attenzione fra boschi che profumano di resina, poi più spensierati su larghe piste che nel periodo invernale ospitano baldi sciatori.
Una vera escursione in chiave alpina, con tratti di portage e tutta la carica emotiva dell’alta montagna, è bene essere preparati fisicamente e tecnicamente, ricordandosi sempre che si è in ambiente selvatico, dove distrazioni anche minime possono avere conseguenze gravi.