L'itinerario di salita è piuttosto faticoso, in quanto dopo una prima parte su dossi e facili sentieri, la restante parte si svolge su terreno piuttosto ripido dapprima di terra e fine detrito, mentre gli ultimi 300 m di dislivello ricalcano una immensa pietraia. La cima più elevata si trova ad est, ma anche le altre cime secondarie sono contraddistinte da ometti di pietre.
Dal campo base montato al termine della strada sterrata, in un bel pianoro di erba e terriccio, ci si muove in direzione ovest (solitamente la partenza avviene di notte per evitare la discesa nelle ore più calde). Le numerose tracce di sentiero, talune di bestiame, risalgono dolcemente alcuni dossi erbosi per poi addentrarsi in una valletta con a destra una serie di paretine rocciose. Si raggiunge l’alveo di un torrente, lo si attraversa, e si inizia a salire ora più ripidamente su un enorme costone di ciuffi d’erba e terra, con qualche tratto di sfasciume; il sentiero sempre abbastanza evidente compie numerosi zig-zag per addolcire un po’ la pendenza; terminata la lunga e faticosa salita del costone della montagna, si raggiunge una zona rocciosa, che precede un enorme ripiano dove inaspettatamente troviamo un bellissimo prato (ed eventuali nevai a seconda della stagione). Solitamente in questa zona pascolano le pecore dei pastori che vivono in questa zona.
Si scende di alcuni metri su questo pianoro, per poi piegare verso destra, in direzione della vasta pietraia di colore arancione-rossastro, che scende direttamente dalle propaggini della cima. Raggiunta la pietraia, dopo pochi metri ancora pianeggianti, si inizia ad inerpicarsi sul pendio-canalone che proviene dalla cresta sovrastante (una parete dell’antico vulcano). Ci sono varie tracce di sentiero che salgono alla meglio questo pendio, a destra più detritiche, mentre stando a sinistra si superano facili passi di arrampicata su massi talvolta enormi, ma non sempre stabili (anzi tutt’altro). Verso metà del pendio si trova la parte di sentiero più camminabile, che però termina e si riprende la salita faticosa su rocce e sfasciumi instabili, in particolar modo verso la parte finale occorre prestare attenzione a non smuovere pietre su eventuali persone sottostanti. Arrivati in cresta ci si affaccia sul versante opposto, e si ha modo di ammirare l’enormità del cratere (colmo di massi) di questo vulcano, con in lontananza i vari cucuzzoli delle cime secondarie, ben visibili grazie agli ometti di pietra.
La cima del Suphan è posta all’estremità destra rispetto al punto in cui si sbuca in cresta; la vicinanza non tragga in inganno, perchè si deve attraversare una pietraia ciclopica. Ci si abbassa di una ventina di metri nella conca sottostante, seguendo alcuni ometti e cercando il percorso migliore tra i massi, enormi ma ben stabili; ci si porta su una piccola dorsale sempre seguendo gli ometti di pietre, e poi si prosegue a destra in direzione della cima, giungendo alla base della fascia rocciosa sommitale.
Qui occorre salire la paretina superando facili passaggi di arrampicata su roccia ottima di colore rossastro. Si risale una placca e poi un breve canalino, fino a sbucare proprio in vetta.
Per la discesa si torna lungo il versante di salita scendendo il pendio ricoperto dalla pietraia preferibilmente sul lato sinistra (faccia a valle) dove gli sfasciumi rendono la discesa abbastanza rapida. Poi raggiunto il termine di questa pietraia, anzichè attraversare il prato del mattino, si prosegue a sinistra del dosso che ci si trova davanti, infilandosi in un lungo canalone disabbia e terra, che rende la discesa davvero veloce (consigliabile provare a correre per queste distese sabbiose). Si ritrova il sentiero dell’andata al termine di questo canalone, ovvero nell’avvallamento formato dal torrente nella stagione delle piogge. Da qui si torna al campo.